Citta' di pietra / stone city
Un luogo dell'inconscio, ma anche della memoria della terra. Una sorta di atlantide emersa dall'anima dell'artista.una citta sospesa sopra un liquido amniotico e primordiale. Un'istallazione che proietta lo spettatore in un cono d'ombra, un passaggio purificatore da affrontare scevri da qualsiasi pregiudizio, come un atto di fede.
lo stato mentale che si e creato con l'artista isabella vismara e l'opera, e' lo stesso che la mostra vuole instillare nel visitatore. Una sorta di dejavu collettivo, facendo scoprire la citta' eterna che e' dentro ognuno di noi.
Il video realizzato da michele lostia,mostra una sorte di no-fly zone, un aereo che decolla e atterra in modo perpetuo senza passeggeri che salgono o scendono, forse l'aereo e' vuoto.quindi i veri passeggeri saranno i visitatori della mostra che dovranno idealmente prendere quel volo per stone city.
A conferma di questo viaggio, un'altro video presente nell'installazione realizzato da sergio picciaredda conferisce all'installazione un traccia di vita. Su un nastro trasportatore dei bagagli, che gira vuoto con solo poche etichette rimaste attaccate, all'improvviso appaiono due valige rosse. Potrebbero essere dell'artista o di qualche visitatore
Michele Lostia interpreta la modellistica per disegno di Leonardo da Vinci attraverso un’oggettistica post-moderna tra arte e design.
Uomo di sperienza, il grande artista rinascimentale rappresentava con la grafia della mano la speranza del volo. Lostia la realizza imprimendo alla forma la turbolenza del tempo, l’uso di una tecnologia che dinamizza il tracciato nella sua misura spaziale.
Il disegno dell’opera perde felicemente ogni segno di sfumato ed acquista la perentorietà progettuale di un linguaggio pronto alla modularità.
Anche per Michele Lostia l’arte è cosa mentale.
Zinco. Per partire dalla superficie geografica dell' opera. Dal territorio d'evidenza espressiva di Michele Lostia. In sintesi: nei suoi nuovi lavori vediamo la struttura ricettiva di un materiale dai perfidi contrasti. Malleabile eppure categorico, lo zinco subisce le interazioni bulimiche degli acidi che si tramutano in pittura. Il fondale assorbe e respinge, cambia colori e ispessisce le trame, si scalda e raffredda. Seguendo il prologo dell' opera conclusa, un grigio scompaginato diviene incastro di filamenti grumosi. La durezza tagliente assume la libertà lanuginosa del gesto creativo. Qualcosa d' improvviso e intenso ha cambiato la natura dello zinco. Una serie di icone sono nate dal gesto, semplicissimo, che ha depositato sulla lastra pezzi di radici comuni.
Zinco. Per restare nella materia basilare. Dove alcune forme spuntano come impulsi sul fondo grigio. Ecco le entità essenziali, ridotte secondo le proporzioni del quadro, biancastre come un cemento che rispecchia la memoria universale. Le icone di Lostia giungono dalle caverne dei primi disegni ancora visibili. L'artista isola piccole forme antropomorfe, figure ibride tra mondo umano, bestiario misto e reinvenzione personale. Si tratta di corpi in volo sul cielo nuvoloso dello zinco. Flash sovrimpressi con forza innaturale, quasi che una preziosa energia li abbia salvaguardati da ogni contaminazione storica. Il loro archetipo appartiene ai lontani giorni di un tempo oscuro. Ma ogni presenza conserva un messaggio ancestrale, come dei feti condivisi che si ricreano all'infinito. Qualche sapiens, nudo davanti al muro grezzo, immaginava così il proprio presente, non pensando che la sua sintesi avrebbe rappresentato ogni essenza del futuro. Il vantaggio di "stare all' inizio" implica la totale assenza di preconcetti, remore morali, riferimenti scomodi, influenze limitative. L'uomo di quei graffiti raffigurava l'essenza rivoluzionaria dello sguardo. Creava la memoria visiva che avrebbe impaginato le registrazioni dell' idealismo umano. Sono trascorsi milioni di giorni e nulla pare cambiato, almeno nel fermare la cifra essenziale del disegno. Quei graffiti sono gli scheletri eterni che ogni epoca riveste con abiti adeguati. Per Michele Lostia ciò significa recuperare il corpo dell' origine, la fisionomia aliena che ci ricorda presagi e tanta cinematografia. Secondo il 35mm gli alieni somigliano a qualcosa oltre la forma nota. Corpi che si ammorbidiscono, prendono volumi flessuosi, che si allisciano come pelle d' acqua immobile. La preistoria appartiene al futuro. Il domani coincide con le origini della vita umana. Il bit sta suonando come il boom di una clava sulla pietra. Il tempo trascorre con lo stesso identico battito del primo secondo. L' eterno, talvolta, può diventare contemporaneo.
Icone. Qui sullo zinco. Dove ogni disegno assume il peso universale di un' icona misteriosa, splendida ma crudelmente inavvicinabile. L' artista sembra dirci che il recupero implica metamorfosi attorno a qualcosa che proviamo (con difficoltà) a capire. Una singola figura racchiude l' essenza implacabile del tutto. E quella totalità afferma il relativismo del tentare, la verità del disegno profondo, la forza di una bellezza ricreabile. I disegni di Lostia, per ovvie ragioni, riguardano una contemporaneità anomala. Non mostrano riferimenti diretti al tempo mediatico. Almeno così sembra: perché l' immagine, alla fine, registra l' istinto assoluto di ogni entità antropologica. L' opera è attuale in quanto costruisce la sua forza su energie che parlano la lingua dei cinque sensi. Questo modello espressivo, però, cammina sempre sulla lama: in un attimo scivoli dalla sintesi alla retorica, dal linguaggio aperto alla citazione passiva, dal gesto controllato al disordine dentro il caos. Non tagliarsi è cosa mirabile. Come sto vedendo nel nuovo ciclo di Lostia. Che sussurra le sue forme, abbassa i toni, penalizza il colore acceso. L'artista usa la sintesi per trattenere l'energia dentro i pannelli. Apre il linguaggio ad un gioco continuo con gli archetipi possibili. Controlla i propri gesti affinché le sottrazioni prevalgano sui rischi dell' accumulo. Le icone si intravedono come nuvole scure nella nebbia fluida. Appaiono e non le dimentichi. Forse sono ombra, proiezione, riflesso. Sicuramente diventano parte viva di ognuno di noi. La poesia del gesto le rende attonite. Persistenti. Lontane dietro e davanti allo sguardo.
Forme semplici e simbologie antiche, come pittogrammi e i monoliti, segni che si fermano sulla soglia della figurazione, linee che rimangono in superficie e la determinano. Organicismo e geometrie elementari si fondono o si alternano, obbligando spesso ad una riflessione sui limiti del segno e della figura (quale è lo stadio oltre il quale un segno diventa figura?). La riflessione non nasce da una speculazione intellettuale a posteriori sull' opera, ma contemporaneamente alla sua contemplazione. I lavori di Michele Lostia richiedono lunghi tempi di osservazione e una mobilità di sguardo per seguire le dinamiche delle forze (in azione o in sospensione) e il percorso dei segni. Può succedere, così, che una scultura diventi un oggetto ipnotico, dal quale difficile distogliere lo sguardo. A volte la forma si colloca direttamente nello spazio: quando una forma è forte (chiusa in se stessa e dinamica) è in grado di affrontare il vuoto. Altre volte nelle lastre di piombo, le figure restano legate al supporto che le ha prodotte che fa da sfondo: qui la dimensione pittorica è più evidente e l' aspetto scultoreo si limita ad un "basso rilievo" in cui è assente ogni illusionismo di terza dimensione oltre lo spessore reale della lastra. Nel suo lavoro Michele Lostia usa, senza una codificazione precisa forme emblematiche, prenuragiche, che spesso restano chiuse nei contorni ma aperte nei significati. Riportando l' immagine ad un "grado zero" l' opera si offre a molte letture come Bergson, Fautrier e Dubuffet, l' artista sa che la materia ha una memoria, che ogni oggetto ha una "protensione temporale", una volontà di resistere nello spazio, di rimanere se stesso oltre il tempo. Per questo ripercorre uno dei gesti più antichi dell' uomo: scalfire, segnare una superficie per affermare la propria esistenza e quella della propria specie, per vincere la morte con un segno volontario, con una traccia che sia qualcosa di più di un fossile.